SOCCORSO 
ALPINO 
E PREVENZIONE
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E PREVENZIONE
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ALPINO 
E PREVENZIONE

 

Quando si parla di Soccorso Al­pino si è portati a pensare, quasi in maniera automatica, ad incidenti, dispersi, valanghe o di­sgrazie più o meno grandi.

Poco conosciuta, ai più, è, infatti, l’attività di prevenzione e informazione che il CNSAS svolge regolarmente e in maniera capillare sull’intero territorio nazionale.

Non a caso l’Articolo 2 dello Statuto del CNSAS recita:

“Le finalità del C.N.S.A.S. sono:

· contribuire alla vigilanza ed alla prevenzione degli infortuni nell'eserci­zio delle attività connesse all'ambiente montano e delle attività speleologiche.

· soccorrere in tale ambito gli infor­tunati, i pericolanti ed i dispersi e recu­perare i caduti, anche in collaborazio­ne con Organizzazioni esterne.

concorrere al soccorso in caso di cala­mità, anche in cooperazione con le strutture della Protezione Civile, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali”.

 

E’ significativo rilevare che, nelle finali­tà di un’Istituzione storicamente legata alla montagna, alla speleologia e all’ambiente impervio in genere, la finalità prima è proprio quella di contri­buire alla vigilanza e alla prevenzio­ne al fine di limitare e ridurre quanto possibile incidenti e infortuni.

 

Spesso la montagna, nel senso più ampio e completo del termine, è og­getto di campagne mediatiche enfati­che attente anche al minimo problema, capaci di amplificare oltre modo situa­zioni o avvenimenti che sovente risul­tano trasformarti erroneamente in tra­gedie figlie della sete di sangue che “la montagna assassina” deve sistemati­camente placare.

La velocità e la capacità di trasmissio­ne delle notizie, notevolmente incre­mentate negli ultimi anni, unite ad

un’informazione non sempre precisa e supportata da dati certi, provocano nell’opinione pubblica e nel cittadino non particolarmente avvezzo a quest’ambiente reazioni spesso errate e conclusioni fuori luogo che contribui­scono a generare luoghi comuni e pre­concetti assolutamente falsi, deleteri per la montagna e i suoi frequentatori.

 

Parallelo e antitetico, se vogliamo, ultimamente è anche tutto un fiorire d’iniziative e progetti volti alla sicurez­za nel senso più ampio e forse abusa­to del termine stesso.

Da tempo, infatti, si assiste ad un in­cremento notevole di proposte aventi come tema la montagna e come obiet­tivo l’incolumità dei suoi “clienti”.

Progetti, iniziative, Fondazioni specifi­che, siti Internet, stampa finalizzata, conferenze, convegni, di tutto di più con lo scopo di porre l’accento su un tema improvvisamente tanto caro dove una pluralità assoluta di soggetti si prodiga in consigli, suggerimenti, pro­poste e quant’altro ritenuto dagli stessi utile alla causa.

 

Ogni iniziativa, sia ben inteso, è lode­vole e apprezzabile non fosse altro che per gli importanti obiettivi definiti e per gli impegni profusi nello sforzo di raggiungerli.

Il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, pertanto, è in prima li­nea, a fianco di tanti altri, nel tentativo di contribuire fattivamente al raggiungi­mento di risultati concreti e, soprattut­to, oggettivabili e spendibili per la tanto vituperata sicurezza.

 

La sicurezza (dal latino "sine cura": senza preoccupazione) può essere definita come la "conoscenza che l'e­voluzione di un sistema non produrrà stati indesiderati", ovvero sapere che quello che faremo non provocherà danni.

Il presupposto della conoscenza è

fondamentale da un punto di vista epi­stemologico, poiché un sistema può evolversi senza dar luogo a stati inde­siderati, ma non per quest’esso può essere ritenuto sicuro. Solo una cono­scenza precisa, basata quindi su os­servazioni ripetibili, può garantire una valutazione sensata della sicurezza.

La sicurezza totale si ha in assenza di pericoli. In senso assoluto, si tratta di un concetto difficilmente traducibile nella vita reale anche se l'applicazione di norme e di comportamenti adeguati e specifici di sicurezza rende più diffi­cile il verificarsi d’eventi dannosi e d’incidenti.

 

Nella lingua italiana, come in altre lin­gue, il termine sicurezza non viene molto bene differenziato da quello di prevenzione. Forse, più che un pro­blema linguistico, si tratta di un residuo d’antichi concetti sul fato, sull'inelutta­bile e sulla prevalenza del destino e della fortuna rispetto all'intelligenza umana.

Quando accade un incidente, ancora oggi, si sente parlare di sfortuna. Si può affermare che, spesso, un inci­dente, nel senso più ampio del termi­ne, è causato dal mancato rispetto di norme, da atteggiamenti sbagliati, da comportamenti gravi e impropri.

 

La montagna, come ogni altro ambien­te indistintamente, necessita di principi basilari sacrosanti affinché la fruizione possa avvenire in maniera propria pur nella consapevolezza che il “rischio zero” è pressoché impossibile da rag­giungere.

Posto che i pericoli sono suddivisi in oggettivi (legati all'ambiente) e sogget­tivi (legati alle persone), la condizione indispensabile è quella di ridurre il ri­sultato della formula matematica che lega il rischio a due fattori significativi ovvero la frequenza o probabilità d’accadimento e la magnitudo delle conseguenze.

In poche parole è matematico definire il rischio, o la probabilità che si verifichi un accadimento negativo, direttamente proporzionale al tempo, al numero dell’esposizione, oltre che alla grandezza del problema, al livello di pericolo e di difficoltà.
Più volte ripetiamo operazioni potenzialmente pericolose più aumenta la probabilità che si verifichi un evento negativo, un incidente.
Più sottovalutiamo un certo tipo di problema anche solo potenziale, più aumentiamo la possibilità che il problema stesso diventi per noi dannoso.

Compito della prevenzione è, dunque, fornire correttamente un “modus operandi” che aiuti il soggetto finale a muoversi con correttezza in contesti a lui in precedenza poco chiari o non completamente definiti e conosciuti.
Prevenzione, in senso generale, vuol dire prioritariamente conoscere al fine di evitare atteggiamenti e comportamenti potenzialmente nocivi per se e per gli altri.

Chiosando un enunciato particolarmente abusato ma assolutamente attuale, “prevenire è meglio che curare” non fosse altro che anticipare correttamente evita danni di un certo tipo.

Ciò detto è ugualmente vero che una buona ed efficace prevenzione non si esaurisce nel mero rispetto di regole più o meno definite e precise. Un’efficace prevenzione si può avere soltanto se le regole s’inseriscono in un tessuto comportamentale fatto di conoscenza, di rispetto, di ricerca continua della strada corretta e adatta al momento.

La prevenzione migliore rimane la conoscenza dell’ambiente in cui ci muoviamo o intendiamo muoverci, conoscenza che deriva in particolare da un’assidua e corretta frequentazione dell’ambiente stesso come avveniva per chi nell’ambiente nasceva, cresceva e ci si confrontava tutti i giorni in simbiosi a volte inevitabile.
Nessun decalogo, ancorché completo, potrà mai sostituire l’esperienza del confronto diretto, graduale e ragionato.   
Guai anche solo a pensare che il semplice rispetto disciplinato di regole, rigorosamente e correttamente elencate, possa surrogare la capacità d’osservazione, possa sostituire lo spirito critico. 

Un filino di romanticismo e di retorica può aiutarci a ricordare che il montanaro vero, quello radicato sul suo territorio, non si avvaleva di norme per disciplinare la propria giornata e le proprie attività ma faceva leva, in maniera assolutamente naturale, su esperienza, conoscenza, rispetto, capacità critica istintiva ovvero su quanto oggi è venuto, purtroppo, un po’ meno in tanti.

Ben vengano le regole, sia ben chiaro. Altrettanto chiaro deve essere, parimenti, l’assunto che una regola indica il modo di usare un metodo teoretico o pratico, dove il termine metodo, dal greco méthodos (inseguire, andare dietro), indica proprio l'insieme dei procedimenti messi in atto per ottenere uno scopo o determinati risultati. 

Il rischio, per rimanere in tema, di scivolare nella facile retorica è veramente alto, ma non deve impedire di rimarcare quanto è importante e fondamentale una concertazione fra conoscenza, regole, informazione e, non guasta mai, buon senso e capacità di rinuncia laddove è necessario.

La miglior prevenzione sta proprio in questo, nella capacità di tornare sui propri passi quando s’impone, quando diventa il passaggio necessario e obbligato anche se rimane il più difficile per tanti, forse per troppi utenti della montagna e non solo. 

Sempre meno persone sono disposte a rinunciare, sempre meno utenti sono consapevoli che la montagna, in particolare, non va affrontata ma conquistata con sapienza, con metodo.

Tanti problemi, tante situazioni negative, accadono per questa frenesia del fare tutto subito a qualunque costo. Tutto ciò rende inutile ogni operazione d’educazione, d’informazione, di tentativo di ripristinare quella cultura specifica che manca sempre più.


www.cnsas.it
www.sicurinmontagna.it
Valerio Zani
Vicepresidente Nazionale CNSAS
Delegato V Zona Bresciana

In poche parole è matematico definire il rischio, o la probabilità che si verifichi un accadimento negativo, direttamente proporzionale al tempo, al numero dell’esposizione, oltre che alla grandezza del problema, al livello di pericolo e di difficoltà.
Più volte ripetiamo operazioni potenzialmente pericolose più aumenta la probabilità che si verifichi un evento negativo, un incidente.
Più sottovalutiamo un certo tipo di problema anche solo potenziale, più aumentiamo la possibilità che il problema stesso diventi per noi dannoso.

Compito della prevenzione è, dunque, fornire correttamente un “modus operandi” che aiuti il soggetto finale a muoversi con correttezza in contesti a lui in precedenza poco chiari o non completamente definiti e conosciuti.
Prevenzione, in senso generale, vuol dire prioritariamente conoscere al fine di evitare atteggiamenti e comportamenti potenzialmente nocivi per se e per gli altri.

Chiosando un enunciato particolarmente abusato ma assolutamente attuale, “prevenire è meglio che curare” non fosse altro che anticipare correttamente evita danni di un certo tipo.

Ciò detto è ugualmente vero che una buona ed efficace prevenzione non si esaurisce nel mero rispetto di regole più o meno definite e precise. Un’efficace prevenzione si può avere soltanto se le regole s’inseriscono in un tessuto comportamentale fatto di conoscenza, di rispetto, di ricerca continua della strada corretta e adatta al momento.

La prevenzione migliore rimane la conoscenza dell’ambiente in cui ci muoviamo o intendiamo muoverci, conoscenza che deriva in particolare da un’assidua e corretta frequentazione dell’ambiente stesso come avveniva per chi nell’ambiente nasceva, cresceva e ci si confrontava tutti i giorni in simbiosi a volte inevitabile.
Nessun decalogo, ancorché completo, potrà mai sostituire l’esperienza del confronto diretto, graduale e ragionato.   
Guai anche solo a pensare che il semplice rispetto disciplinato di regole, rigorosamente e correttamente elencate, possa surrogare la capacità d’osservazione, possa sostituire lo spirito critico. 

Un filino di romanticismo e di retorica può aiutarci a ricordare che il montanaro vero, quello radicato sul suo territorio, non si avvaleva di norme per disciplinare la propria giornata e le proprie attività ma faceva leva, in maniera assolutamente naturale, su esperienza, conoscenza, rispetto, capacità critica istintiva ovvero su quanto oggi è venuto, purtroppo, un po’ meno in tanti.

Ben vengano le regole, sia ben chiaro. Altrettanto chiaro deve essere, parimenti, l’assunto che una regola indica il modo di usare un metodo teoretico o pratico, dove il termine metodo, dal greco méthodos (inseguire, andare dietro), indica proprio l'insieme dei procedimenti messi in atto per ottenere uno scopo o determinati risultati. 

Il rischio, per rimanere in tema, di scivolare nella facile retorica è veramente alto, ma non deve impedire di rimarcare quanto è importante e fondamentale una concertazione fra conoscenza, regole, informazione e, non guasta mai, buon senso e capacità di rinuncia laddove è necessario.

La miglior prevenzione sta proprio in questo, nella capacità di tornare sui propri passi quando s’impone, quando diventa il passaggio necessario e obbligato anche se rimane il più difficile per tanti, forse per troppi utenti della montagna e non solo. 

Sempre meno persone sono disposte a rinunciare, sempre meno utenti sono consapevoli che la montagna, in particolare, non va affrontata ma conquistata con sapienza, con metodo.

Tanti problemi, tante situazioni negative, accadono per questa frenesia del fare tutto subito a qualunque costo. Tutto ciò rende inutile ogni operazione d’educazione, d’informazione, di tentativo di ripristinare quella cultura specifica che manca sempre più.


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In poche parole è matematico definire il rischio, o la probabilità che si verifichi un accadimento negativo, direttamente proporzionale al tempo, al numero dell’esposizione, oltre che alla grandezza del problema, al livello di pericolo e di difficoltà.
Più volte ripetiamo operazioni potenzialmente pericolose più aumenta la probabilità che si verifichi un evento negativo, un incidente.
Più sottovalutiamo un certo tipo di problema anche solo potenziale, più aumentiamo la possibilità che il problema stesso diventi per noi dannoso.

Compito della prevenzione è, dunque, fornire correttamente un “modus operandi” che aiuti il soggetto finale a muoversi con correttezza in contesti a lui in precedenza poco chiari o non completamente definiti e conosciuti.
Prevenzione, in senso generale, vuol dire prioritariamente conoscere al fine di evitare atteggiamenti e comportamenti potenzialmente nocivi per se e per gli altri.

Chiosando un enunciato particolarmente abusato ma assolutamente attuale, “prevenire è meglio che curare” non fosse altro che anticipare correttamente evita danni di un certo tipo.

Ciò detto è ugualmente vero che una buona ed efficace prevenzione non si esaurisce nel mero rispetto di regole più o meno definite e precise. Un’efficace prevenzione si può avere soltanto se le regole s’inseriscono in un tessuto comportamentale fatto di conoscenza, di rispetto, di ricerca continua della strada corretta e adatta al momento.

La prevenzione migliore rimane la conoscenza dell’ambiente in cui ci muoviamo o intendiamo muoverci, conoscenza che deriva in particolare da un’assidua e corretta frequentazione dell’ambiente stesso come avveniva per chi nell’ambiente nasceva, cresceva e ci si confrontava tutti i giorni in simbiosi a volte inevitabile.
Nessun decalogo, ancorché completo, potrà mai sostituire l’esperienza del confronto diretto, graduale e ragionato.   
Guai anche solo a pensare che il semplice rispetto disciplinato di regole, rigorosamente e correttamente elencate, possa surrogare la capacità d’osservazione, possa sostituire lo spirito critico. 

Un filino di romanticismo e di retorica può aiutarci a ricordare che il montanaro vero, quello radicato sul suo territorio, non si avvaleva di norme per disciplinare la propria giornata e le proprie attività ma faceva leva, in maniera assolutamente naturale, su esperienza, conoscenza, rispetto, capacità critica istintiva ovvero su quanto oggi è venuto, purtroppo, un po’ meno in tanti.

Ben vengano le regole, sia ben chiaro. Altrettanto chiaro deve essere, parimenti, l’assunto che una regola indica il modo di usare un metodo teoretico o pratico, dove il termine metodo, dal greco méthodos (inseguire, andare dietro), indica proprio l'insieme dei procedimenti messi in atto per ottenere uno scopo o determinati risultati. 

Il rischio, per rimanere in tema, di scivolare nella facile retorica è veramente alto, ma non deve impedire di rimarcare quanto è importante e fondamentale una concertazione fra conoscenza, regole, informazione e, non guasta mai, buon senso e capacità di rinuncia laddove è necessario.

La miglior prevenzione sta proprio in questo, nella capacità di tornare sui propri passi quando s’impone, quando diventa il passaggio necessario e obbligato anche se rimane il più difficile per tanti, forse per troppi utenti della montagna e non solo. 

Sempre meno persone sono disposte a rinunciare, sempre meno utenti sono consapevoli che la montagna, in particolare, non va affrontata ma conquistata con sapienza, con metodo.

Tanti problemi, tante situazioni negative, accadono per questa frenesia del fare tutto subito a qualunque costo. Tutto ciò rende inutile ogni operazione d’educazione, d’informazione, di tentativo di ripristinare quella cultura specifica che manca sempre più.


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In poche parole è matematico definire il rischio, o la probabilità che si verifichi un accadimento negativo, direttamente proporzionale al tempo, al numero dell’esposizione, oltre che alla grandezza del problema, al livello di pericolo e di difficoltà.
Più volte ripetiamo operazioni potenzialmente pericolose più aumenta la probabilità che si verifichi un evento negativo, un incidente.
Più sottovalutiamo un certo tipo di problema anche solo potenziale, più aumentiamo la possibilità che il problema stesso diventi per noi dannoso.

Compito della prevenzione è, dunque, fornire correttamente un “modus operandi” che aiuti il soggetto finale a muoversi con correttezza in contesti a lui in precedenza poco chiari o non completamente definiti e conosciuti.
Prevenzione, in senso generale, vuol dire prioritariamente conoscere al fine di evitare atteggiamenti e comportamenti potenzialmente nocivi per se e per gli altri.

Chiosando un enunciato particolarmente abusato ma assolutamente attuale, “prevenire è meglio che curare” non fosse altro che anticipare correttamente evita danni di un certo tipo.

Ciò detto è ugualmente vero che una buona ed efficace prevenzione non si esaurisce nel mero rispetto di regole più o meno definite e precise. Un’efficace prevenzione si può avere soltanto se le regole s’inseriscono in un tessuto comportamentale fatto di conoscenza, di rispetto, di ricerca continua della strada corretta e adatta al momento.

La prevenzione migliore rimane la conoscenza dell’ambiente in cui ci muoviamo o intendiamo muoverci, conoscenza che deriva in particolare da un’assidua e corretta frequentazione dell’ambiente stesso come avveniva per chi nell’ambiente nasceva, cresceva e ci si confrontava tutti i giorni in simbiosi a volte inevitabile.
Nessun decalogo, ancorché completo, potrà mai sostituire l’esperienza del confronto diretto, graduale e ragionato.   
Guai anche solo a pensare che il semplice rispetto disciplinato di regole, rigorosamente e correttamente elencate, possa surrogare la capacità d’osservazione, possa sostituire lo spirito critico. 

Un filino di romanticismo e di retorica può aiutarci a ricordare che il montanaro vero, quello radicato sul suo territorio, non si avvaleva di norme per disciplinare la propria giornata e le proprie attività ma faceva leva, in maniera assolutamente naturale, su esperienza, conoscenza, rispetto, capacità critica istintiva ovvero su quanto oggi è venuto, purtroppo, un po’ meno in tanti.

Ben vengano le regole, sia ben chiaro. Altrettanto chiaro deve essere, parimenti, l’assunto che una regola indica il modo di usare un metodo teoretico o pratico, dove il termine metodo, dal greco méthodos (inseguire, andare dietro), indica proprio l'insieme dei procedimenti messi in atto per ottenere uno scopo o determinati risultati. 

Il rischio, per rimanere in tema, di scivolare nella facile retorica è veramente alto, ma non deve impedire di rimarcare quanto è importante e fondamentale una concertazione fra conoscenza, regole, informazione e, non guasta mai, buon senso e capacità di rinuncia laddove è necessario.

La miglior prevenzione sta proprio in questo, nella capacità di tornare sui propri passi quando s’impone, quando diventa il passaggio necessario e obbligato anche se rimane il più difficile per tanti, forse per troppi utenti della montagna e non solo. 

Sempre meno persone sono disposte a rinunciare, sempre meno utenti sono consapevoli che la montagna, in particolare, non va affrontata ma conquistata con sapienza, con metodo.

Tanti problemi, tante situazioni negative, accadono per questa frenesia del fare tutto subito a qualunque costo. Tutto ciò rende inutile ogni operazione d’educazione, d’informazione, di tentativo di ripristinare quella cultura specifica che manca sempre più.


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In poche parole è matematico definire il rischio, o la probabilità che si verifichi un accadimento negativo, direttamente proporzionale al tempo, al numero dell’esposizione, oltre che alla grandezza del problema, al livello di pericolo e di difficoltà.
Più volte ripetiamo operazioni potenzialmente pericolose più aumenta la probabilità che si verifichi un evento negativo, un incidente.
Più sottovalutiamo un certo tipo di problema anche solo potenziale, più aumentiamo la possibilità che il problema stesso diventi per noi dannoso.

Compito della prevenzione è, dunque, fornire correttamente un “modus operandi” che aiuti il soggetto finale a muoversi con correttezza in contesti a lui in precedenza poco chiari o non completamente definiti e conosciuti.
Prevenzione, in senso generale, vuol dire prioritariamente conoscere al fine di evitare atteggiamenti e comportamenti potenzialmente nocivi per se e per gli altri.

Chiosando un enunciato particolarmente abusato ma assolutamente attuale, “prevenire è meglio che curare” non fosse altro che anticipare correttamente evita danni di un certo tipo.

Ciò detto è ugualmente vero che una buona ed efficace prevenzione non si esaurisce nel mero rispetto di regole più o meno definite e precise. Un’efficace prevenzione si può avere soltanto se le regole s’inseriscono in un tessuto comportamentale fatto di conoscenza, di rispetto, di ricerca continua della strada corretta e adatta al momento.

La prevenzione migliore rimane la conoscenza dell’ambiente in cui ci muoviamo o intendiamo muoverci, conoscenza che deriva in particolare da un’assidua e corretta frequentazione dell’ambiente stesso come avveniva per chi nell’ambiente nasceva, cresceva e ci si confrontava tutti i giorni in simbiosi a volte inevitabile.
Nessun decalogo, ancorché completo, potrà mai sostituire l’esperienza del confronto diretto, graduale e ragionato.   
Guai anche solo a pensare che il semplice rispetto disciplinato di regole, rigorosamente e correttamente elencate, possa surrogare la capacità d’osservazione, possa sostituire lo spirito critico. 

Un filino di romanticismo e di retorica può aiutarci a ricordare che il montanaro vero, quello radicato sul suo territorio, non si avvaleva di norme per disciplinare la propria giornata e le proprie attività ma faceva leva, in maniera assolutamente naturale, su esperienza, conoscenza, rispetto, capacità critica istintiva ovvero su quanto oggi è venuto, purtroppo, un po’ meno in tanti.

Ben vengano le regole, sia ben chiaro. Altrettanto chiaro deve essere, parimenti, l’assunto che una regola indica il modo di usare un metodo teoretico o pratico, dove il termine metodo, dal greco méthodos (inseguire, andare dietro), indica proprio l'insieme dei procedimenti messi in atto per ottenere uno scopo o determinati risultati. 

Il rischio, per rimanere in tema, di scivolare nella facile retorica è veramente alto, ma non deve impedire di rimarcare quanto è importante e fondamentale una concertazione fra conoscenza, regole, informazione e, non guasta mai, buon senso e capacità di rinuncia laddove è necessario.

La miglior prevenzione sta proprio in questo, nella capacità di tornare sui propri passi quando s’impone, quando diventa il passaggio necessario e obbligato anche se rimane il più difficile per tanti, forse per troppi utenti della montagna e non solo. 

Sempre meno persone sono disposte a rinunciare, sempre meno utenti sono consapevoli che la montagna, in particolare, non va affrontata ma conquistata con sapienza, con metodo.

Tanti problemi, tante situazioni negative, accadono per questa frenesia del fare tutto subito a qualunque costo. Tutto ciò rende inutile ogni operazione d’educazione, d’informazione, di tentativo di ripristinare quella cultura specifica che manca sempre più.


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Più volte ripetiamo operazioni potenzialmente pericolose più aumenta la probabilità che si verifichi un evento negativo, un incidente.
Più sottovalutiamo un certo tipo di problema anche solo potenziale, più aumentiamo la possibilità che il problema stesso diventi per noi dannoso.

Compito della prevenzione è, dunque, fornire correttamente un “modus operandi” che aiuti il soggetto finale a muoversi con correttezza in contesti a lui in precedenza poco chiari o non completamente definiti e conosciuti.
Prevenzione, in senso generale, vuol dire prioritariamente conoscere al fine di evitare atteggiamenti e comportamenti potenzialmente nocivi per se e per gli altri.

Chiosando un enunciato particolarmente abusato ma assolutamente attuale, “prevenire è meglio che curare” non fosse altro che anticipare correttamente evita danni di un certo tipo.

Ciò detto è ugualmente vero che una buona ed efficace prevenzione non si esaurisce nel mero rispetto di regole più o meno definite e precise. Un’efficace prevenzione si può avere soltanto se le regole s’inseriscono in un tessuto comportamentale fatto di conoscenza, di rispetto, di ricerca continua della strada corretta e adatta al momento.

La prevenzione migliore rimane la conoscenza dell’ambiente in cui ci muoviamo o intendiamo muoverci, conoscenza che deriva in particolare da un’assidua e corretta frequentazione dell’ambiente stesso come avveniva per chi nell’ambiente nasceva, cresceva e ci si confrontava tutti i giorni in simbiosi a volte inevitabile.
Nessun decalogo, ancorché completo, potrà mai sostituire l’esperienza del confronto diretto, graduale e ragionato.   
Guai anche solo a pensare che il semplice rispetto disciplinato di regole, rigorosamente e correttamente elencate, possa surrogare la capacità d’osservazione, possa sostituire lo spirito critico. 

Un filino di romanticismo e di retorica può aiutarci a ricordare che il montanaro vero, quello radicato sul suo territorio, non si avvaleva di norme per disciplinare la propria giornata e le proprie attività ma faceva leva, in maniera assolutamente naturale, su esperienza, conoscenza, rispetto, capacità critica istintiva ovvero su quanto oggi è venuto, purtroppo, un po’ meno in tanti.

Ben vengano le regole, sia ben chiaro. Altrettanto chiaro deve essere, parimenti, l’assunto che una regola indica il modo di usare un metodo teoretico o pratico, dove il termine metodo, dal greco méthodos (inseguire, andare dietro), indica proprio l'insieme dei procedimenti messi in atto per ottenere uno scopo o determinati risultati. 

Il rischio, per rimanere in tema, di scivolare nella facile retorica è veramente alto, ma non deve impedire di rimarcare quanto è importante e fondamentale una concertazione fra conoscenza, regole, informazione e, non guasta mai, buon senso e capacità di rinuncia laddove è necessario.

La miglior prevenzione sta proprio in questo, nella capacità di tornare sui propri passi quando s’impone, quando diventa il passaggio necessario e obbligato anche se rimane il più difficile per tanti, forse per troppi utenti della montagna e non solo. 

Sempre meno persone sono disposte a rinunciare, sempre meno utenti sono consapevoli che la montagna, in particolare, non va affrontata ma conquistata con sapienza, con metodo.

Tanti problemi, tante situazioni negative, accadono per questa frenesia del fare tutto subito a qualunque costo. Tutto ciò rende inutile ogni operazione d’educazione, d’informazione, di tentativo di ripristinare quella cultura specifica che manca sempre più.


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