IL CASTELLO DELLE STREGHE

Pizzo Badile Camuno           25 gennaio 2006

Succede a volte che le domeniche siano dedicate a far divertire ed avvicinare alla roccia ragazzi che da poco si sono cimentati in questo sport che è ormai diventato la nostra vita.

            L’avventura è cominciata alle 5 e mezza della domenica mattina ed abbiamo poi passato l’ora seguente a raccogliere tutti i partecipanti a questa divertente giornata, è incredibile ma abbiamo persino rischiato di lasciarne uno nel parcheggio per una piccola distrazione, fonte comunque di risate incontrollabili.

            Riunito il gruppo, finalmente partenza.

            Arrivo al rifugio Volano con un tempo incerto e nebbioso, si parte per il Pizzo Badile camuno verso le otto. La temperatura è clemente ed il gruppo allegro e motivato. La prima parte del cammino è costituita da un sentiero ripido e disseminato da rocce che rendono il percorso divertente ed articolato, ombreggiato da una bella vegetazione e da cespugli di lamponi che sono una scusa per gustose soste.

            Si passa una bella placchetta rocciosa che permette una piccola arrampicata che fa pregustare quanto arriverà in seguito.

            Il bosco nel frattempo si fa sempre più rado; si arriva alla bella sella che offre una vera “porta” che fa da transizione tra la camminata e l’arrampicata. Pare sia a guardia della vera montagna rocciosa e sia lì per apostrofarti con un “qui si cambia”!  

            Il cielo nel frattempo era in vena di esibizionismo, ci offriva alternativamente panorami di grigi opprimenti e tempestosi ed azzurri con sbuffi di nuvole bianche che mostravano a sorpresa cime stupende che parevano ad un passo da noi e che mi ricordavano “L’isola che non c’è” di Peter Pan, un’apparire e sparire buffo e incantato che raramente ti capita di vedere.

            Giorno strano, sicuramente da bambini in vacanza e non da veri alpinisti. Certo è che i nostri nuovi compagni non avrebbero pensato di ridere più che arrampicare, ed invece si sono ritrovati con un piccolo contingente di buffoni che intercalava una battuta con una arrampicata.

            Non ho ancora detto della cima, a guardarla da lontano incute timore e soggezione, è tutta roccia e pare priva di accessi, ma più ti avvicini e più capisci che è benevola, niente difficoltà insuperabili, sentieri agevoli e una ferrata che non da problemi, basta un caschetto che protegga da rocce  che franano e anche Oliver, il cane alpinista di Giovanni potrebbe fare il percorso.

            Tra chiacchiere e risate di arriva alla metà della via,  le piccole rocce si sono ora tramutate in rocce vere, abbastanza facili soprattutto sulla ferratina ma delicate se, come al solito, gli amici Davide e Giovanni si ingegnano a trovare varianti che altrimenti “la Marina di annoia”!

            Non c’è da annoiarsi, infatti, l’arrampicata con gli scarponi, mi è stato detto diverse volte, offre un’aspetto particolare delle scalate. Certo, fai gradi inferiori, ma è un’esperienza veramente unica, fare roccia in ambiente con scarponi grossi ti fa sentire veramente bravo, pare incredibile ma, anche se è più difficile, è stupendo sentire gli appigli con il bordo degli scarponi ed affidarti a quella sensibilità che non sapevi di possedere. Andare in progressione toccando “a pelle” soltanto con le mani e tastando le rocce che non di rado ti rimangono in mano, non sapendo cosa troverai il passo dopo, questo è odore d’alpinismo, certo, non quello vero, ma, sicuramente, oltre a me, anche i ragazzi che ci hanno accompagnato, ne hanno avuto l’impressione.

            E su, tra piccole paretine, minuscoli camini, crestine e placchette che purtoppo finiscono troppo presto. La vetta, piana e tranquilla, con una bella madonnina e una croce vera, piccola, di legno, storta, consumata e rovinata. La temperatura è tiepida, certo il vento è freddo a 2435 metri di altitudine, era prevedibile, ma siamo fortunati. Le fotografie si sprecano, il cielo infatti poco a poco si è aperto e mostra un panorama con i fiocchi, i monti circostanti sbucano dalle nubi più basse luminosi.

            Sotto di noi appare una cresta, sottile come una lama di coltello e frastagliata come denti di coccodrillo,  manca solo Capitan Uncino e la favola sarebbe perfetta. Davide dice che mi devo scordare quella cresta, dovrei saper volare per toccarla da vicino, peccato non avere la polvere della Fata Trilli e poterlo fare. E’un’attimo, i nuvoloni che cercavano di sovrastare la cresta la ricoprono, la favola continua, si riparte che dopo di noi continua ad arrivare gente e la vetta si fa veramente troppo affollata.

            Ce ne andiamo guardando la madonnina che resta a guardia perenne ed amorevole della vetta e ripercorriamo la via appena fatta. Per noi è una novità in quanto avevamo provato le famose varianti. Ci ritroviamo comunque una bella discesa che sperimentiamo un poco con la corda, solo io per la verità, e un poco cercando solamente gli appigli che può dare la roccia.

            Scendendo una bella sorpresa ci attende, un prato costellato di stelle alpine, piccoli tesori bianchi che fermano il cuore a vederle, e tanta è la sorpresa che si corre a dirlo agli altri come se fosse stata una vincita alla lotteria.

            Nuovamente ci si ritrova bambini ed è una sorpresa, ripensandoci, riassaporare felicità che pensavi di non poter più sentire, carpire attimi che forse non sono più tuoi, ma di cui ti appropri e di cui godi incredibilmente.

            Ci si ritrova ancora alla metà del percorso, si attende il gruppo, si chiacchiera con escursionisti capitati lì per caso e fermati dalle rocce, Giovanni, il folletto instancabile, ripercorre la via per andare a vedere come va la discesa del resto del gruppo, torna giù accaldato e forse appagato dalle salite.

            Di nuovo la bella placca rocciosa che ti diverti a scendere “senza toccare la fune”, gioco che noi pratichiamo comunemente quando capita.

            E poi la discesa nel bosco, un poco difficile per il fango che ricopre sentieri e roccette, che se vuoi stare in piedi ti devi aggrappare agli alberi dei bordi, ma si trova comunque il tempo ed il modo per raccontarsi e ridere.

            Verso le due del pomeriggio siamo quasi al rifugio, si fa una piccola sosta in una piana incantata, tutti sono visibilmente contenti, peccato che non ricordi i nomi dei ragazzi amici dell’ottimo Sergio, ma mi basta pensare ai loro visi felici ed alle guance arrossate che ho baciato in vetta per sentirmi bene.

            Ci attardiamo un poco a giocare con tre cavalli avellinesi che troviamo a pascolare tranquilli, è stupendo percepire la tranquillità che traspira da quei momenti.

            Altra breve sosta al rifugio, sono le due e mezza, il tempo di un caffè e delle ultime foto che fermano l’immagine di una giornata felice.

            Peccato, non posso ripetere i nomi di tutti, ma grazie a Sergio che ha riunito un bel gruppo e grazie a tutti loro per la giornata.

            E se, per caso vi viene voglia di qualche cosa di simile, il percorso è questo:

 

            La seconda stella, poi si volta…. e via, sempre dritto!                                                                           Marina Livella