IL CASTELLO DELLE STREGHE

Val Fontana       4 Maggio 2008        

E’ l’inizio di maggio, la voglia di fare una bella salita è grande poiché i primi mesi dell’anno sono stati alpinisticamente molto avari, e quando Giovanni parla del Pizzo Scalino accettiamo entusiasti.

            Due settimane prima con Stefano e me aveva fatto una perlustrazione nella zona, l’interminabile Val Fontana ci aveva sfiancato ma le vette viste erano tanto belle da mancare il fiato e degne di una nuova visita.

            Stimolati da quanto avevamo visto ci siamo ritrovati a guidare i nostri amici su per la Valtellina nel crepuscolo avanzato del sabato dopo essere partiti alle sette da Lumezzane ed aver incontrato Marcello a Rodengo Saiano.

            Siamo un bel gruppo, Carlo, Davide, Giovanni, Riccardo, io e Marcello, amico che da tempo non era dei nostri.

            Il tempo è bello e la temperatura mite, arriviamo nella notte all’ultima spianata della valle dopo aver passato il paese di Ponte in Valtellina, troviamo macchie di neve lungo la strada sterrata che ci costringono a campeggiare un poco più in basso di quanto ci eravamo prefissati; siamo a circa 1600 metri di altitudine.

            Iniziano i contrattempi, Davide si accorge di aver scordato sull’auto, lasciata nel bresciano, il portafogli con i soldi, i documenti, il cellulare e la colazione; non se la prende, certo, è poca cosa e rimediamo allegramente al problema; scopriremo poi che questo è il fine settimana dei piccoli guai.

            Allestiamo le tende attorno alle auto, due pratici Doblò che si diversificano solo per il colore, Marcello dorme nell’abitacolo del suo mezzo mentre noi allestiamo delle tende comode mentre Davide, che sta tentando un esperimento, innalza una tenda minuscola; la osserviamo scettici ma lui è sicuro di sé, si vedrà.

            Sono le undici quando ci addormentiamo, la sveglia è alle quattro, il tempo per il sonno è molto scarso e, tra una risata e l’altra, cerchiamo di dormire subito.

            Il buio è fitto quando ci alziamo, alla luce delle frontali ci attrezziamo svelti; è allora che mi accorgo di aver scordato i sottopiedi e gli spessori delle caviglie dei miei scarponi, è un problema, Giovanni mi passa i sottopiedi delle sue scarpe leggere e mi arrangio così.

            Facciamo una breve colazione ridendo della scomoda esperienza di Davide con la minuscola canadese troppo spartana e con la pessima caratteristica di trasudare umidità all’interno.

            Si parte, Giovanni ci guida sicuro su per il sentiero privo di neve che si snoda lungo la valle e si alza gradatamente fino ad arrivare ad una piccola sella dove si apre una stupenda cascata che ora ha perso il ghiaccio già ammirata la volta precedente; intanto la luce ha fatto la sua comparsa, il cielo è diventato chiaro, poi debolmente azzurro fino a prendere una bella sfumatura blu scuro che non ci ha più abbandonato per tutta la giornata.

            Ora la spianata della valle dove è localizzato il rifugio Cederna, ancora invisibile, è davanti a noi, camminando ci accorgiamo che Riccardo non c’è, Carlo si avvicina ed avverte che è tornato sui suoi passi poiché si è accorto di aver perso la macchina fotografica; il nostro passo rallenta e, dispiaciuti, cerchiamo di farci raggiungere.

            Siamo nella neve alta, si affonda molto e siamo certi che la salita sarà dura; passiamo una slavina che da un poco di respiro con i suoi grossi grumi di neve dura ma è un breve tratto, nel frattempo Riccardo ci ha raggiunto felice di aver ritrovato la digitale e proseguiamo uniti girando a sinistra della valle.

            Il paesaggio è splendido, le vette innumerevoli e salendo molti i canali e le creste che paiono fattibili ed attirano i nostri sguardi mentre la neve si fa sempre più alta e faticosa ed il sole inizia a scaldarci.

            Proseguiamo, Riccardo è privo dei bastoncini ed utilizza la picca per avanzare nella neve fonda e comincia pure a sentire l’umidità invadere gli scarponi non protetti dalle ghette, nuovi guai a cui non è possibile trovare rimedio.

            Il pendio che affrontiamo è molto pesante e ripido, il frequente studio delle cartine non indica un percorso sicuro, ora si sprofonda un poco meno e Carlo, Giovanni ed io, i più leggeri, vediamo di riuscire a galleggiare su quella ingannevole crosta nevosa che si rivela fragile se il passo è troppo deciso.

            Altro stop per studiare le carte, scopriamo che il Pizzo Scalino si innalza sull’altro versante della valle e non sul nostro lato; non ci perdiamo d’animo e decidiamo di traversare la testata della valle sotto la maestosa parete del Pizzo Painale che ci sovrasta.

            Cammino sentendomi per la prima volta una privilegiata, galleggio su quella aleatoria crosta nevosa candida e traditrice e le mie gambe mi ringraziano; il sole è bollente e sono torturata da un raffreddore, nato sulle bianche rocce delle Calanques, che non mi da pace.

            Si affonda molto nella neve sempre più alta e bagnata, e vedendo quasi irraggiungibile la sella che porta allo Scalino decidiamo di tentare comunque una vetta minore; la più abbordabile pare Cima Val di Togno e ci avviamo come minuscole formiche che segnano gli ampi ed immacolati pendii che dalle creste rocciose rotolano in basso verso la conca.

            Proseguiamo lungo una larga china puntando un paio di roccioni fatti a prua di nave che si sporgono scuri, Marcello ci stacca e li raggiunge per primo.

            La fatica è grande e, sempre sprofondando molto, anche noi arriviamo alla sella che aggira i roccioni scuri; piccola delusione, niente cresta, troviamo un altro pendio candido ed intonso che prosegue fino a toccare il cielo che pare un mare blu collocato nel posto sbagliato.

            La cresta in alto è dolce e segnata da lingue di rocce macchiate da licheni giallastri; lasciamo Riccardo a controllare lo stato di umidità dei suoi scarponi sopra ad una placca liscia che sembra un isolotto sulla neve e proseguiamo verso poche roccette divertenti tra la neve alta.

            Carlo ci raggiunge, ha deciso di tornare a valle assieme a Riccardo i cui scarponi sono fradici, asserisce di non sentirsi in forma e la cosa ci stupisce ma ci accordiamo per la discesa; ci assicura che la segnerà con tracce che faciliteranno il rientro.

            Ci salutiamo e proseguiamo verso la vetta del giorno che non può mancare, dopo pochi metri siamo alla cima Val di Togno;  vetta non memorabile salvo per il panorama che si svela improvviso.

            E’ un vero stupore, le catene montuose svizzere si aprono come su di un palcoscenico inaspettato e si rincorrono candide a perdita d’occhio favorite della limpidezza della giornata, sembra impossibile riuscire a scorgere in un colpo solo così tante cime che ci allettano.

            Salendo abbiamo potuto ammirare pure la cresta nord del Pizzo Painale, molte le immagini scattate e le promesse fatte di ritornare a percorrerla al più presto.

            Dovremmo tornare ma la curiosità di sapere cosa ci aspetta fa avanzare ancora, siamo incorreggibili penso tra me e me; dalla vetta ci incamminiamo lungo la cresta che porta alla sella per il Pizzo Scalino e man mano si fa sempre più sottile, ripida e con molte cornici.

            Davide è senza piccozza rimasta in mano a Riccardo ed ora i guai si fanno reali; capiamo che non è possibile proseguire in questa situazione nonostante i ramponi siano già ai nostri piedi.

            Abbiamo di fronte l’imponenza del nostro Pizzo Scalino e vediamo alpinisti che lo stanno raggiungendo da un altro versante; la vetta è distante ma pare a portata di mano e ci spinge a proseguire ancora per un poco.

            E’ una godibile cresta intonsa che calchiamo tra rocce strapiombanti, brevi tratti di neve ingannevole e temerarie cornici che sfidano la gravità; Giovanni che avanza per primo arriva ad un gruppo di rocce scure, cerca di superarle ma dall’alto è impossibile, scende e Marcello, non contento, si abbassa ancora cercando di aggirarne un altro piccolo gruppo sottostante.

            Io lo guardo scendere deciso ma non sono convinta, lo chiamo ed anche i ragazzi lo incitano a risalire, è veramente tardi e non vale la pena rischiare una incognita quando siamo certi di non aver il tempo di arrivare alla meta.

            Malvolentieri ci raggiunge e, dopo aver nuovamente ammirato la vetta che ora è sommersa da nubi fitte ci rassegniamo a scendere per quella interminabile e candida china.

             Ora lo Scalino è alle nostre spalle ed nemmeno il Painale non si offre con la spettacolare cresta ai nostri occhi, resta solo l’interminabile discesa che Carlo e Riccardo dovrebbero aver segnato con i loro passi.

            La parete è abbastanza facile e la neve quasi buona, passo dopo passo lasciamo i pendii ed arriviamo alla base del vallone; una moltitudine di passi mentre gli scarponi progressivamente si inzuppano di neve sciolta e noi camminiamo silenziosi con la mente proiettata verso abiti e scarpe asciutti ed un sedile comodo dove riposare.

            Sono circa dieci ore che camminiamo quando, all’ennesima svolta della strada, mi appaiono le auto ed i visi sorridenti degli amici; i piccoli guai sono finiti e resta solo la grande soddisfazione della salita appena compiuta.

 

                                           Marina Livella