Sono appena iniziate le ferie ed i telefoni cominciano a bollire. Dove si va? Cosa si fa? In quanti siamo? Il tempo come sarà? Danno un buco di sereno lunedì, ok partiamo, dopo varie telefonate rimaniamo in due, sarà il numero perfetto? Comunque arrivati a Malga Caldea comincia a piovere più sulle nostre speranze che sui vestiti, “meglio adesso che poi” pensiamo. Per fortuna a metà percorso smette ed arriviamo al Garibaldi ancora abbastanza asciutti, sistemiamo tutto e ceniamo alla grande, il letto è morbidissimo, perché non sono così anche i rifugi esteri? (Vedi quelli svizzeri?!) C’è poca gente e si sta molto bene, prima di andare a letto osserviamo la vetta che nel mentre si è rischiarata ed intravediamo il percorso dell’indomani, la cresta nord-ovest dell’Adamello. Una salita di 600 metri in roccia di II° e III° con un passaggio di IV°, niente di estremo però non si sa mai. Tutti a letto con il cielo che rischiara a ovest. Sveglia alle quattro pronti e via, si esce e d’incanto il cielo si svela in migliaia di luci che ci danno il loro saluto, non c’è una nuvola in cielo e tutto fa sperare in una giornata da ricordare. Ci avviamo e dopo due ore siamo all’attacco dello spigolo sul ghiacciaio della parete ovest in totale e completa solitudine ed in un ambiente cupo e selvaggio, fantastico. Ci leghiamo e partiamo ma quasi subito c’è qualcosa che non va, TOH! siamo dei fenomeni infatti già dall’inizio ci troviamo fuori percorso e risaliamo il versante ovest dalla cresta, poco male direte voi e invece malissimo perché qui il terreno e molto mosso , i passaggi difficili si susseguono e ne esce una salita abbastanza tecnica. I passi devono essere felpati e le dita leggere, sarebbe servita la sfera di cristallo per sapere se l’appiglio sarebbe stato tale o no. Comunque non possiamo tornare sulla via originale perché delle placche sbarrano la via e con gli scarponi non è il caso. Il passaggio più emozionante è una specie di camino con al termine uno spuntone che buttava un po’ in fuori, lo si doveva abbracciare e tirarsi su.  Nessun problema se non che in nessun punto sembrava collegato al monte e con velocità da bradipi lo abbiamo tastato a lungo ed infine superato. Le sicure le facevamo sì, però vista la roccia non c’era da fidarsi molto ed andavamo avanti così come un’avventura su un terreno sconosciuto. Il tempo era comunque bello ed ogni tanto alle soste, quando calava un po’ la tensione, ammiravo il panorama, cima Plem, Baitone, Laghi d’Avio, erano ormai sotto di noi. Dopo due ripiegamenti dobbiamo traversare allo spigolo parallelo in parete ovest. Passiamo un canale dove scorre acqua e c’è del ghiaccio, siamo arrivati. Adesso il terreno è migliore e come un miraggio ci appare la croce di vetta,è ancora distante ma vederla non è poca cosa per l’animo provato dalle mille fatiche della giornata. Tra l’altro mi sono sobbarcato l’onere e l’onore di fare le riprese e di fotografare. Lavoro ingrato in due ed in queste condizioni, oltretutto, il mio compagno lo apprenderà solo ora, quando lo vedevo sicuro gli davo 3 metri di corda per poterlo filmare in movimento. Chissà se mi vorrà ancora in cordata dopo questa confessione. Finalmente dopo 6 ore siamo in vetta, felicissimi ed increduli di aver portato a termine una salita così delicata e, dopo aver suonato la campana di vetta torniamo per la via normale del passo Brizio con magnifiche visioni del pian di neve e delle Lobbie. La gita è conclusa ed è stata una giornata sicuramente da incorniciare e lo sbaglio di itinerario a contribuito a renderla più interessante ed emozionante.Questa salita la ricorderò anche per un altro aspetto, quello di essere solo in due sulla montagna dalla partenza all’arrivo al rifugio senza aver incontrato o sentito anima viva, praticamente l’Adamello era nostro. Per concludere, lo spigolo quello giusto l’avevo fatto tre anni prima con la guida, ma credetemi farlo con un amico è tutta un’altra cosa. 
                                                Giovanni

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